Premetto che amo i tatuaggi e che, se fossi nata una ventina di anni dopo, probabilmente ne sarei piena. Per cui, quando sono entrata al Noble Art Tattoo studio per fare due chiacchiere con Giovanni Bonaschi, la tentazione di chiedergli di farmi un nuovo tattoo era fortissima. Così, tanto per unire l’utile al dilettevole. Poi lui mi ha preso per mano e mi ha portato nella sua concezione del tatuaggio, decisamente più profonda della mia, e ho frenato l’impulso di regalarmi un disegno sulla pelle, semplicemente per lo sfizio di un giovedì mattina. «Un tatuatore, per poter rappresentare veramente quello che già vive dentro il cliente, deve far un gran lavoro di introspezione, non grande in quanto lungo come tempo, grande in quanto complicato» mi spiega Giovanni, 37 anni di cui 12 trascorsi a studiare e approfondire l’antica arte del tatuaggio. «L’esperienza fa sì che in poco tempo il tatuatore analizzi, percepisca e disegni l’emozione di chi ha di fronte. Per questo motivo dico che un vero tatuatore non fa i suoi disegnini e basta». È un fiume in piena. E meno male che aveva anticipato di essere uno di poche parole. Ma si sa, quando parli di ciò che ami, tutto fluisce in modo semplice e diretto. «Pare un concetto scontato, in quanto ripetuto dai grandi tatuatori, se dico che la pelle è viva, ma sembra che sia stato dimenticato. Ci si deve preoccupare di studiare i tipi di pelle e come si comporta l’inchiostro in base alla macchinetta, velocità, pressione e zona del corpo. Il tatuaggio si vede, si tocca, rimane dentro la pelle. E la nostra pelle non è come una tela o un foglio di carta, ma un organo vivente su cui ciò che disegniamo, bene o male, rimane indelebile. Chi si preoccupa più di essere artista e non tatuatore, non ha possibilità di fare un lavoro eccellente». «Ma come? Eppure io leggo sui social e sento più spesso ripetere che il tattoo è un arte e che voi siete come pittori» replico. «Artista è una parola che mi infastidisce, ormai viene usata troppo e non ha valore. Il tatuatore non dovrebbe preoccuparsi di essere artista, perché, disegnando e creando, lo è. Punto. Senza doverlo sbandierare a destra e a manca. Va di moda sentirsi artisti e autoacclamarsi artista per sentirsi superiori, quando invece si è totalmente privi di merito». La tocca piano Giovanni, insomma. Sempre con quel tono pacato e rilassato, di chi è sicuro di ciò che dice e fa. «E i social, che rapporto hanno con voi tatuatori? Ti hanno aiutato nel lavoro?». «I social – prosegue – sono una rovina per noi che tatuiamo da tanti anni. Perché danno spazio a personaggi che fanno pagare i loro disegnini una follia, che tatuano in posizioni sbagliate, che sono solo moda e portano i più giovani a fare tatuaggi di cui poi si pentono. Il tatuatore deve avere delle regole, rispettare il buon gusto, stare sempre attento a che cosa e a chi tatua, per evitare anche che il cliente si penta del disegno o lo veda scomparire dopo poco tempo». Alla faccia di chi pensa al tatuatore come l’emblema della trasgressione. Qui c’è studio, tecnica e consapevolezza. «Quando ti fai un tatuaggio, devi sempre ricordarti che gli altri potrebbero giudicarti per quel disegno» aggiunge. Sono le stesse parole che mi ripete da sempre la mia mamma. Che in fondo il buon senso è la prima regola che dovremmo tatuarci nell’anima.