A cura di Fiat Lux.
Siamo soliti utilizzare l’espressione “marcare il territorio” per indicare l’abitudine di animali, come cani e gatti, di utilizzare spruzzi di urina o feci per delimitare lo spazio vitale dove essi sono padroni incontrastati. È un’abitudine utilizzata soprattutto da soggetti maschili delle specie animali, e dal momento che anche l’uomo è un animale, a volte vediamo questa abitudine presentarsi anche nei comportamenti di certi maschi della specie umana. Marcare il territorio, nell’ambito umano, può avere diverse sfumature di signifcato che dipendono dal contesto e dall’intento del soggetto che lo mette in atto; può intendersi come delimitazione di uno spazio personale, o stabilire un’infuenza in un contesto sociale, o ancora può comportare aggressione o ostentazione come modo per affermare la propria superiorità e intimidire gli altri. In certi periodi dell’anno, però la marcatura del territorio, la esercitano gli individui di sesso femminile. Esse sfruttano l’estro per spargere sentore di seduzione e proprietà all’interno di un perimetro chiuso, allo scopo di procacciarsi individui di sesso maschile proni al proprio dominio. Sembra che per le oche, l’estro avvenga principalmente in primavera, durante il mese di maggio. In questo periodo dell’anno, l’ocone maschio, che vuole entrare nel recinto dell’oca estrosa, può diventare aggressivo verso gli altri maschi della specie, anche se non interessati all’estro specifco, mostrando comportamenti che potremmo defnire ridicoli all’occhio umano. Allarga le ali, alza la testa e starnazza a più non posso. Sembra urlare: via tutti, l’oca è mia, ma non è l’unico, perché, da un recinto accanto, si alza un’altra starnazzata, “noooo, l’oca è mia”. E via così in un crescendo quasi fastidioso di starnazzate ad alto volume. A settembre poi, noi poveri umani costretti a sentir ora tutte queste urla estrose, ci rassicuriamo il cuore vedendo il re ocone, che ormai domo e senza aver avuto la sua preda, nonostante l’impegno nello starnazzare, giace serafco, con tutta la sua mole panzuta, lassù nella gabbia stretta, in attesa di essere cucinato per bene da chi ha disturbato in primavera.