a cura di Simone Tabarini
A Belcreda, piccola frazione agricola di Gambolò, gli scavi archeologici hanno portato alla luce una necropoli celtica attiva tra il III e il I secolo a.C. Tra tombe a cremazione, urne e oggetti d’uso quotidiano, un reperto ha assunto un valore eccezionale: una ciotola cineraria con inciso un nome in alfabeto latino, Vindonidius. Si tratta “ufficialmente” del primo abitante di Gambolò di cui conosciamo il nome, una persona reale vissuta oltre duemila anni fa, ricordata soltanto da una fragile iscrizione. La tomba è databile alla fase La Tène D (circa 120–25 a.C.), un periodo di profonda trasformazione, in cui le comunità celtiche mantengono la propria identità ma iniziano a entrare in contatto stabile con il mondo romano. Il nome stesso riflette questa transizione: Vindonidius ha una radice celtica, Vind-, che significa “bianco” o “splendente”, ma è scritto con lettere latine, segno di una romanizzazione già in atto. L’incisione suggerisce che si trattasse di una figura socialmente rilevante, forse appartenente a una piccola élite locale, degna di essere ricordata. Attorno alla necropoli si estendeva un paesaggio di pianura fatto di campi, corsi d’acqua e insediamenti sparsi lungo le vie naturali che collegavano Lomellina e Ticino. I reperti rinvenuti, come fibule, ceramiche decorate e armi, raccontano di una comunità dinamica e inserita nei circuiti di scambio dell’epoca. Oggi molti materiali provenienti da Belcreda sono conservati nel Museo Archeologico Lomellino di Gambolò. In un semplice graffito inciso più di duemila anni fa sopravvive così il primo nome certo della storia locale, un dettaglio minimo ma capace di restituire profondità e umanità al passato.





