«Si risparmia restando chiusi. Cosa rimarrà dell’artigianato?»

LA LETTERA di Jessica Floris

Gentile Direttore,

approfitto di un po’ di spazio per chiedere di puntare i riflettori anche su un’altra categoria artigianale fortemente penalizzata, quella delle piccole lavanderie. Non mi arrogo il diritto di farmi portavoce di un’intera categoria, ci mancherebbe: il mio è solo lo sfogo di una lavoratrice frustrata che non ha idea di cosa accadrà nei prossimi mesi. Durante il lockdown di marzo e aprile, un po’ per la paura del contagio, un po’ perché alcuni miei colleghi avevano scelto di fermarsi, ho chiuso l’attività per un periodo.

Ma la ripresa, dopo un primo momento di euforia, si è arrestata nei mesi estivi, in cui la clientela si è notevolmente ridotta. Col cambio di stagione autunnale, finalmente un po’ di respiro e poi… E poi… E poi di nuovo zona rossa, ma stavolta tutti aperti. Noi, piccoli artigiani delle piccole lavanderie di quartiere, noi che lavoriamo coi clienti privati e che soffriamo, se loro devono smettere di lavorare e studiare e si devono chiudere in casa, perché automaticamente tagliano le gambe anche a noi, pur certamente non volendolo. Sono in contatto con alcuni colleghi non mortaresi, l’altro giorno una di loro aveva il magone ed era nel panico. Molti di noi non aprono neanche più al pomeriggio: negozi in zona, a Vigevano e nel Milanese viaggiano a orari ridotti, per risparmiare sulle spese e agevolare le consegne a domicilio. Direttore, già da anni combattiamo la concorrenza spietata delle lavanderie a gettoni e dei centri commerciali, ora subiamo questo. Mi rendo conto che tante categorie, dal mondo della ristorazione a quello del turismo, dai lavoratori dello spettacolo alle estetiste, sono molto più svantaggiate, però vorrei che le istituzioni capissero che la possibilità di rimanere aperti non equivale a quella di guadagnare. Anche dopo che l’emergenza sarà finita, cosa resterà del mondo dell’artigianato e dei piccoli negozi? Ho paura di conoscere la risposta…

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