Gandolfi: «Ho vissuto una malattia grave, da prendere molto sul serio»

Il referente dell’ambulatorio dei medici di base al Cambieri ricorda la sua esperienza al Policlinico in terapia subintensiva

È il referente del gruppo dei sette medici di base che hanno l’ambulatorio a palazzo Cambieri. Eugenio Gandolfi ha 68 anni ed è stato in ospedale al San Matteo di Pavia dopo essersi ammalato, anche lui, come quasi tutto il gruppo, di Covid. Ora è a casa, in convalescenza, prostrato, ma salvo. «Molti sottovalutano questa malattia – afferma – ma è un errore. Anch’io, che per carattere sono sempre portato all’ottimismo, oggi devo ammettere che è una malattia grave, da prendere sul serio e non sottovalutare». Gandolfi, nella sua convalescenza, si sente svuotato dalle forze. «Alcuni giorni sto meglio altri peggio, ma l’impressione è che ci vorrà tempo per riprendermi». Il primo ad avere avuto la malattia (e anche lui è finito all’ospedale) è stato il dottor Michele Trivi, che dalla scorsa settimana ha già ripreso il lavoro. Poi a poco a poco si sono ammalati in cinque su sette. «Difficile dire come ci siamo contagiati, nonostante tutte le precauzioni che prendevamo, ma in quel periodo io ho visto non meno di dodici persone ammalate di Covid nelle loro abitazioni e così hanno fatto i miei colleghi. Molti di noi avevano in cura anche le suore Pianzoline. Noi ci siamo dati molto da fare – sottolinea Gandolfi – non siamo stati dietro la scrivania, come sta passando su molti media. Forse non tutte la medicina di base, ma alcuni hanno dato, sul campo, tutto ciò che potevano». Quando il medico ha capito di avere contratto la malattia era il 4 novembre. I disturbi sono iniziati con la difficoltà respiratoria e la diarrea, e il primo tampone rapido era risultato subito positivo. «Dopo aver effettuato il tampone classico, il 6 novembre sono andato al Pronto soccorso di Vigevano e la Tac ha confermato la polmonite bilaterale. C’era grande affollamento in quel momento all’ospedale e allora ho optato per curarmi a casa». Il medico nel frattempo aveva allertato colleghi e Ats per mandare un sostituto al suo posto. Nel mentre l’ossigeno nei suoi polmoni continuava a mancare. «Sono stati dei colleghi di Pavia, con cui ero in contatto, a chiamarmi il 9 mattina e annunciarmi che sarebbe venuta un’ambulanza a prelevarmi per portarmi al San Matteo». Dopo l’ingresso in pronto soccorso il dottor Eugenio Gandolfi è stato ricoverato e ha dovuto affrontare l’ossigenazione tramite CPup, il cosiddetto “casco” in terapia subintensiva. «Avevo in fianco a me un collega medico piemontese – prosegue Gandolfi – e per i primi giorni non ci siamo neppure parlati. Non avevamo la forza per farlo. Lui se l’è vista addirittura peggio di me». Il medico è stato ricoverato nel reparto di Malattie Infettive del Policlinico il 10 novembre ed è stato dimesso il 20. «Quando si affrontano prove simili si fanno delle considerazioni sulla vita – conclude – e si arriva a delle conclusioni. La più grave, per me,  è stata quella di avere coinvolto la famiglia e questa è una cosa difficilmente accettabile. Non ho il diritto – mi sono detto – di mettere altre persone in rischi simili. Questo è un punto che dovrò elaborare certamente per il futuro. Dall’altra parte mi sono visto attorniato da una solidarietà enorme, sia da parte di tutti i colleghi che dai miei pazienti e dai tanti assistiti che mi hanno mandato numerosi messaggi. Tutto questo mi ha fatto molto piacere. Ora attendo una ripresa che tarda a venire». 

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