Cascina Della Cà, i proprietari ricorrono al Consiglio di Stato

Prima vogliono ricercare un tentativo di accordo con il Comune

ma se questo non si trova (come già successo) si tornerà dai giudici

Siamo all’ennesimo atto della vicenda che coinvolge il Comune di Mortara e i proprietari della cascina Della Cà. Nel giugno del 2020 c’era stata una seconda ordinanza comunale molto articolata per la rimozione dei cumuli di rifiuti esistenti e i proprietari sono nuovamente ricorsi al Tar perché ritengono di essere vittime di quell’abbandono e che il Comune non aveva controllato per impedire  che si formasse quella maxi discarica a cielo aperto. La scorsa settimana, però, il Tribunale amministrativo regionale ha dato ragione all’amministrazione comunale (contrariamente a quanto aveva fatto con una sentenza precedente) e quindi ora l’ordine  di rimozione dei rifiuti emesso dal sindaco di Mortara Marco Facchinotti deve essere eseguito e i proprietari devono pulire. Eppure il braccio di ferro non sembra finire qui. Uno dei diversi proprietari della cascina Della Cà, Matteo Scanzano spiega: «Noi cercheremo, come abbiamo già fatto, ma senza esito, una transazione con il Comune per la ripulitura. Ma se non troveremo l’accordo siamo intenzionati a ricorrere al Consiglio di Stato. Non possiamo fare altrimenti. Siamo convinti di poter controbattere ad alcuni documenti che sono stati presentati in merito alla ricostruzione storica dell’occupazione della cascina». In giudizio si erano presentati per il Comune l’avvocato Massimo Ticozzi di Pavia, mentre per i proprietari era presente Fabio Santopietro di Vigevano. L’opposizione all’ordinanza del Comune è stata respinta. L’immobile rurale che si trova alla periferia della città sulla strada provinciale in direzione di Olevano è conosciuto per essere una discarica di rifiuti a cielo aperto. Dal 2008 si sono susseguite operazioni delle forze dell’ordine e della polizia locale a carico degli occupanti della cascina, per la maggior parte cittadini rumeni. Quando, dopo anni, c’è stato lo sgombero definitivo e la chiusura totale dell’edificio con la muratura di porte e finestre sono rimasti i cumuli di rifiuti che il Comune ha chiesto in due occasioni di rimuovere ai sette proprietari di varie porzioni attraverso le ordinanze rivolte a Matteo Scanzano, Michele Scanzano, Maria Loredana Di Nunzio, Lorenzo Crespi, Alfredo Mazzè, Rocco Pio Scanzano, e Veronica Albergamo. La recente sentenza del Tar ha chiarito diversi passaggi anche storici in merito alla vicenda. La prima sentenza aveva annullato la prima ordinanza «per difetto di motivazione, lasciando al Comune resistente un residuo margine di discrezionalità da esercitare, e obbligandolo ad operare uno sforzo motivazionale che fosse in grado di fare emergere le “evidenze fattuali” da cui ricavare l’addebito di negligenza». Queste evidenze sono state ricercate  ed elencate nella sentenza la quale successivamente rileva che «pur non essendo chiaramente idonee ad eliminare il dato di fatto rappresentato dall’invasione dei terreni da parte di soggetti estranei (che deve considerarsi quale condotta attiva “primaria” dell’abbandono dei rifiuti), hanno dimostrato una grave e colpevole assenza di vigilanza da parte dei proprietari, almeno fino al 2013». I giudici non si dimenticano neppure del fatto che pesa «l’inerzia delle autorità preposte a vario titolo ai controlli di legge (specie a seguito della denuncia di uno dei comproprietari sul finire dell’anno 2013)». 

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