Mariella Di Bacco, dal lavoro alle Ferrovie dello Stato alla passione per i viaggi: «All’epoca erano poche le donne a fare il mio mestiere»

Per i bambini, i treni sono oggetti magici e le stazioni luoghi mitici. Non per nulla, nei romanzi di Harry Potter, è un treno su di un binario speciale a portare gli aspiranti maghetti nella scuola di magia per eccellenza, Hogwarts. Ho sempre amato viaggiare in treno, leggere mentre i paesaggi scorrono veloci accanto e osservare la varietà incredibile dei passeggeri ad ogni fermata. È di questo che parlo con Mariella Di Bacco in un pomeriggio come tanti davanti a un caffè fumante. «Ho lavorato per tanti anni alle Ferrovie dello Stato – mi racconta lei – e, nel tempo, ho assistito a un cambiamento notevole. Quando sono entrata, eravamo una grande famiglia, in cui chi aveva successo era elogiato anche dai colleghi. Con il tempo, invece, un po’ come in tutti gli ambienti di lavoro, ciò che contava era solo la carriera e si lavorava davvero male». Mariella, anzi Mari, come la chiamiamo tutti, si occupava di instradamento dei treni, una professione molto tecnica, in cui ai tempi era una delle pochissime donne. «Proprio così. Eravamo poche e ci trattavano con i guanti. Con gli uomini, poi, ho sempre lavorato meglio, perché c’era meno competizione, più sincerità: non c’è nulla da dire, le donne, in generale, sono molto più portate a primeggiare e non sempre questo giova al benessere sul posto di lavoro». Mi piace viaggiare in treno, dicevo in apertura, però Mari, dobbiamo dirlo, il trasporto locale è un disastro. «Lo è da quando, una ventina di anni fa, si è cominciato a puntare tutto sull’alta velocità. C’è una differenza abissale tra il trasporto locale e i Frecciarossa, sia in termini di puntualità, che di convogli, che di servizi. Personalmente, avrei fatto esattamente il contrario: il trasporto locale serve molte più persone, ha un traffico maggiore e questo avrebbe portato più lavoro alle ferrovie e accontentato un numero maggiore di cittadini. Invece abbiamo treni sporchi e sempre in ritardo, una scarsa sicurezza nelle stazioni, un malcontento diffuso. Certo, anche noi abbiamo le nostre responsabilità, perché mi è capito sovente di vedere persone con i piedi sui sedili, cartacce buttate per terra, per non parlare dei murales su tutti i vagoni. Diciamo che le ferrovie hanno le loro colpe, ma anche i cittadini dovrebbero essere più educati». Ok, ok, dobbiamo tutti metterci di impegno, però la gestione sembra davvero farraginosa, non credi? «Il grande cambiamento negli ultimi quindici anni è stato a livello dirigenziale. Una volta, chi occupava posti apicali, aveva fatto la gavetta, conosceva in dettaglio il traffico ferroviario dalla A alla Z. Ora invece sono manager che passano dalle auto ai treni agli aerei e non hanno una competenza specifica». Il discorso devia poi sulla pandemia e sulle restrizioni che non ci permettono di viaggiare quanto vorremmo. E io so che Mari è una grande appassionata di viaggi. «Quando sono andata in pensione, ho deciso che avrei visitato tutti i posti che non avevo potuto godermi prima a causa del lavoro. E così è stato. Poi il virus mi ha bloccato, ma ho sempre le valigie pronte». E in treno all’estero hai viaggiato? Come funziona il servizio? «In realtà ho sempre viaggiato poco in treno, sia in Italia che all’estero. Mi bastava lavorarci (ride). Però ricordo da giovane un bellissimo tour in treno della Spagna e un lunghissimo viaggio verso Vienna. I treni? Allora non badavo tanto al mezzo, quanto al posto e alla compagnia!». Perché in fondo ciò che conta, come diceva Kerouac, è andare. Dove? Non importa dove, l’importante è andare.

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