Ivan, lo psicologo al Policlinico «Aiutiamo chi soffre tutti i giorni»

C’è anche un mortarese in prima fila a fronteggiare l’emergenza Coronavirus. Ivan Giacomel, 39 anni, psicologo dell’emergenza, dallo scorso 16 marzo collabora con l’organizzazione non governativa “Soleterre” che ha messo insieme una squadra di dieci psicologi incaricati di assistere pazienti, familiari e operatori del policlinico San Matteo di Pavia e dare una mano a gestire l’emergenza Covid-19. “Soleterre”, grazie anche all’esperienza maturata in contesti di guerra ed emergenza sanitaria all’estero, fornisce una rete di sostegno psicologico a tutti coloro che stanno affrontando la malattia e alle loro famiglie. Per fare ciò ha messo a disposizione i propri psicologi, normalmente attivi nel reparto di onco-ematologia pediatrica, anche nei settori di rianimazione, pronto soccorso e malattie infettive del policlinico. Tra questi, Ivan Giacomel che, tra le altre cose, è vicepresidente della cooperativa sociale Betania di Vigevano, che assiste le persone più fragili e in difficoltà, e da ultimo ha lavorato anche per la Caritas ducale. Fa anche parte della Società Italiana Psicologia dell’Emergenza (Sipem). La sua è quindi una testimonianza di chi quotidianamente si ritrova a dover fare i conti con storie di sofferenza, davanti a un fenomeno che, ogni giorno che passa, sta svelando tutti i suoi contorni più drammatici in ambito sociale e sanitario. «Appena l’epidemia è scoppiata e ha toccato il suo punto più alto, sono stato contattato da “Soleterra” – racconta Ivan – quando mi hanno proposto di collaborare, ho subito accettato. Lavoriamo sette giorni su sette, dal mattino alla sera, a contatto con medici e infermieri. È sbagliato pensare di essere in guerra, sebbene per certi versi possa sembrare di sì. Quello che voglio dire è che la nostra non è una quotidianità normale, come tutte le altre. Il mio compito, e quello degli altri miei colleghi, è cercare di aiutare direttamente sul campo chi prova sensazioni di stress, frustrazione, disorientamento e impotenza davanti a questa situazione che si è rivelata più grande di noi. Ci ritroviamo – spiega Giacomel – ad avere contatti con i parenti di pazienti affetti dal Covid-19. Sono loro i primi ad essere più esposti alle conseguenze sociali di questo fenomeno. Molti non riescono a vedere il proprio familiare e lo perdono senza avere tempo e modo di salutarlo per l’ultima volta: è un trauma psichico che noi dobbiamo gestire praticamente tutti i giorni». Che la situazione sia complicata per il sistema sanitario nel suo complesso lo si evince anche da altri particolari. «Pensate – rivela Giacomel – che è stato creato un nuovo reparto di pronto soccorso, solo per i pazienti Covid-19, e al contempo è stato raddoppiato il personale infermieristico. Chi prima si dedicava soltanto alle vaccinazioni per i bambini, si è ritrovato poi a dover trasportare una barella su una corsia di ospedale. Ci sono persone che lavorano anche 12 ore al giorno, senza sosta – va avanti ancora – si sta cercando di fare il massimo, pur con tutte le difficoltà del caso e snaturando anche quella che è la propria struttura. Basti pensare che sono ormai pochi i reparti senza pazienti che hanno contratto il Coronavirus e diversi sono stati creati all’interno degli spazi già esistenti», conclude Giacomel.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *