A cura di Simone Tabarini.
Un tempo era largamente diffusa in Lomellina, la bachicoltura – l’allevamento dei bachi da seta per ottenere bozzoli da cui si ricava il pregiato filato ad oggi definitivamente scomparsa. Le sue origini locali risalgono all’epoca di Ludovico il Moro, quando, secondo alcune dicerie, presso il Castello di Vigevano si avviò la produzione serica grazie alla presenza di gelsi (localmente detti “Muron”), alberi fondamentali per nutrire i bachi e apprezzati anche per i loro frutti. Il vero sviluppo si ebbe però all’inizio dell’Ottocento, in epoca napoleonica, quando la coltivazione dei gelsi e l’allevamento dei bachi crebbero esponenzialmente, trasformando la bachicoltura in una delle attività economiche principali della zona. Alla fine del secolo, il territorio era ricco di filande che esportavano seta anche all’estero, addirittura in alcuni anni superando l’industria Cinese (all’epoca la prima nella realizzazione di seta). L’attività coinvolgeva non solo manifatture ma anche molte aziende agricole, offrendo un’importante integrazione al reddito contadino. I gelsi contribuivano anche all’equilibrio ambientale: piantati lungo i fossi, prevenivano smottamenti, miglioravano l’aria e davano ombra ai lavoratori che passavano il tempo nei campi. Tuttavia, già dal 1928, la crisi serica e l’introduzione della seta artificiale portarono al totale crollo del settore. Le filande chiusero, molte invece riuscirono ad adattarsi con i tessuti sintetici e molti gelsi, divenuti inutili, vennero abbattuti. Oggi di queste piante ne sopravvivono poche, memoria silenziosa di un’attività che segnò profondamente l’economia, il paesaggio e la storia della Lomellina. Molte aziende tessili risultano ad oggi parte dell’archeologia industriale.