Figlia di Margherita “Mimì” Binaschi, vive e opera nella Città dei Fiori
con il marito Andrea Vacchino, proprietario del famoso teatro
Dici Sanremo e pensi ovviamente al Festival, ma anche a quel teatro Ariston che rappresenta una cornice certo affascinante e da sempre vero e proprio punto di riferimento per la musica italiana. E c’è anche un po’ di Mortara tra quelle pareti. Da ormai oltre un decennio, infatti, proprio a Sanremo vive e opera Anita Lodola, figlia della mortarese Margherita “Mimì” Binaschi e dell’artista dornese Marco Lodola, nonché nipote di Giovanna e Amedeo Binaschi. Anita dal 2011 è spostata con Andrea Vacchino, erede di un’importante famiglia di imprenditori, proprietari – tra l’altro – proprio del mitico teatro Ariston. Ed è al suo interno che Anita Lodola cura personalmente l’apprezzata Arte Ariston Gallery, galleria d’arte moderna e contemporanea. Anita ha una figlia bellissima, Azzurra, di 7 anni, che frequenta la prima elementare, e pur risiedendo nella “Città dei Fiori”, ha sempre mantenuto un forte legame con Mortara e il territorio, che ha così fatto conoscere anche al marito. Che ha confermato di apprezzare: «Questa per me è stata una fortuna – sorride Vacchino – perché mi ha permesso di conoscere la terra lomellina. Mi piacciono le sue campagne, la sua luce e anche la componente gastronomica a partire dal salame d’oca». A livello lavorativo, come accennato, Anita si occupa di arte: «Che anno sta vivendo la Galleria? Sicuramente anche in questo ambito la situazione è delicata – commenta lei – la socialità è venuta meno. Ma abbiamo però notato che alcune persone che si sono trovate inevitabilmente a dover restare a casa hanno deciso di dedicarsi alla propria abitazione e di cercare di valorizzarla attraverso oggetti d’arte». Una dinamica positiva, legata alla cura dei dettagli, che rappresenta forse una delle poche conseguenze positive dell’emergenza vissuta. «Speriamo comunque, il prossimo anno, di poter raccontare una Sanremo diversa». Nei giorni scorsi è infatti calato il sipario su un Festival atipico, giudicato da tanti particolare se non altro per l’assenza di quella cornice di pubblico che rappresenta uno degli elementi più affascinanti della storica kermesse. È stato corretto procedere con l’organizzazione di questa 71ª edizione? «L’argomento – risponde Andrea Vacchino – è certo complicato, perché il Festival è più cose al tempo stesso. Prima della pandemia capitava che si verificassero frizioni tra le diverse anime che lo componevano, e si trattava di trovare l’equilibrio giusto. Quest’anno la dinamica è stata eclatante, ma così come lo è per l’intera società. Ci sono settori come la tecnologia che sono riusciti a operare in questo particolare contesto, ad esempio Netflix ha aumentato i contenuti creativi, mentre cinema, teatro e musica non hanno trovato il modo di poter operare. Così è stato per il Festival, che si è riuscito ad adattare in quanto spettacolo televisivo». Ha prevalso quindi una delle sue componenti. «È, in fondo, uno spaccato di quanto successo in senso più generale. Noi, come Ariston, siamo parte di una squadra, e a decidere sono prima di tutto la Rai e gli autori. Riconosco – prosegue Vacchino – che era difficile fare programmi e rinviare il Festival di qualche mese. Si è così puntato su un elemento: l’unica parte che poteva operare era quella televisiva, e così è stato. Pur con quei contrasti che abbiamo visto». L’atmosfera è certo particolare: «La speranza, per tutti è che sia stato un atto eroico ed eccezionale, e che si possa il prossimo anno tornare alla normalità». Sicuramente, però, l’approdo a Sanremo del Festival ha comunque portato movimento e quindi giovamento per categorie come alberghi e ristoranti: «I lavori sono iniziati a fine dicembre – commentano Anita Lodola e il marito – e gli addetti hanno operato sul territorio con un impatto numerico crescente. Tutto ciò, in effetti, ha permesso agli alberghi di poter lavorare in un contesto che, finché ci sarà il blocco degli spostamenti tra regioni, impone un arreso forzato delle attività. Ma crediamo che laddove la sicurezza incontra parametri che vengono ritenuti corretti, sia giusto provare a fare qualcosa».