La chiesa di Santa Veneranda edificata per la peste del 1630

In questi giorni di grande incertezza, abbiamo più volte ricordato la pestilenza raccontata da Alessandro Manzoni ne “I Promessi Sposi”, per evidenziare come le reazioni degli uomini di fronte a eventi così nefasti e difficilmente controllabili siano le stesse nel corso dei secoli. Pestilenza, quella del 1630, che non riguardò solo la città di Milano, descritta nel celebre romanzo, ma tutta l’Italia Settentrionale, compresa quindi anche la nostra città. Ed è proprio per ricordare quella terribile epidemia, che venne edificato uno dei luoghi più cari ai mortaresi, la Chiesa di San Carlo, meglio nota come Santa Veneranda. Fu infatti nel 1633 che Carlo Borromeo, in visita pastorale alla città, si sarebbe abbeverato ad un pozzo, ancora oggi visibile dietro all’altare maggiore, e avrebbe raccolto il voto dei mortaresi di edificare una chiesa se la peste fosse terminata. Come avvenne da lì a poco. Iniziata l’8 settembre 1633, la chiesa venne terminata solo nel 1653, a causa delle continue guerre e degli assedi a cui la città venne sottoposta. Aldilà delle caratteristiche architettoniche, ciò che da sempre ha alimentato la devozione e che è avvolto anche da un certo mistero è l’altare maggiore, sotto il quale è collocata l’urna che contiene il corpo di Santa Veneranda. Ma chi era Santa Veneranda? Non sappiamo in verità molto. Dall’analisi dei reperti ossei si è potuto constatare che al tempo del martirio doveva avere tra i 20 e i 25 anni: il suo giovane corpo venne sepolto nella Catacomba di Calepodio a Roma, sulla via Aurelia Antica. Nel 1647, per ordine di Innocenzo X, iniziarono gli scavi in questa catacomba e le reliquie della martire, estratte dalla catacomba il 10 novembre 1647, furono affidate a Padre Simpliciano da Milano, Provinciale e Commissario Generale dei Cappuccini a Roma, che le pose in una chiesa conventuale romana in un loculo con la scritta “Hic jacet corpus Venerandae martir”. Nel 1650 padre Simpliciano scrive a padre Michele Tebaldeo di Mortara, che da tempo si era a lui raccomandato per avere una reliquia da donare alla città per essere venerata nella chiesa di San Carlo, che era in costruzione in quegli anni. Le reliquie di Santa Veneranda arrivarono a Mortara nel 1651 e il 24 febbraio monsignor Camillo Colli ruppe i sigilli della cassetta di legno e trovò all’interno un pezzo di carta nel quale si garantiva la presenza delle ossa della Santa. Le reliquie furono depositate temporaneamente a San Lorenzo e poi di lì traslate in San Carlo appena terminata: la traslazione, prevista per il 12 novembre 1664, venne rimandata di una settimana per un diluvio incessante e non fu la sola volta che il corpo della nostra Santa venne spostato dalla Basilica alla chiesetta e viceversa. Ogni volta che nei secoli la chiesa ha necessitato di restauri l’arca è stata spostata, rinnovata, abbellita, aperta, controllata. Per esempio, il 31 marzo 1925 le ossa di Santa Veneranda furono esaminate con attenzione e ne furono contate novanta, mentre l’ultima traslazione è stata quella per i 350 anni dell’arrivo a Mortara, nel 2014, con una serie di celebrazioni in San Lorenzo da cui è emersa ancora una fortissima devozione e un amore per quella che tutti affettuosamente chiamiamo la Santina di Mortara.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *