Delitto di Garlasco, diciotto anni dopo: quel bel tacer che fu (purtroppo) scritto

GARLASCO – L’omicidio di Chiara Poggi, quel 13 agosto 2007, ha segnato una delle pagine di cronaca più complesse e dolorose del nostro territorio. Diciotto anni dopo, oggi come allora, quella sofferenza resta viva. Nello sconcerto delle famiglie, in una città costretta a difendersi dalle troppe dicerie, ipotesi e supposizioni, lo sgomento per la riapertura del caso Poggi si è rapidamente trasformato, soprattutto sui social, in un vero e proprio «circo mediatico». Nel vortice di commenti, pagine create per sbeffeggiare le indagini e prese in giro irrispettose sulla riapertura del procedimento, si è perso il confine tra libertà di espressione e sciacallaggio digitale. Eppure, ogni post ironico riapre una ferita che, seppur in parte cicatrizzata, costringe le famiglie coinvolte a rivivere lo stesso dolore. Basta camminare per le vie della città per cogliere, nelle parole di chi si lascia andare a un commento, un disagio diffuso: Garlasco sta vivendo la sua epoca dei “leoni da tastiera”, dimenticando il rispetto dovuto alle famiglie coinvolte. Le piattaforme non si fanno specchio del pensiero degli utenti, ma vetrina di contenuti «acchiappa-like» costruiti su un evento tragico che dovrebbe spingerci a riflettere, non a fare satira. Qualche utente prova a frenare questa emorragia di insensibilità, ingaggiando una sorta di guerra personale: rispondere a tono e ricordare che un omicidio non può essere il pretesto per dare popolarità a chi cerca risate facili in rete, ma deve spingere piuttosto al silenzio rispettoso. Mentre gli inquirenti lavorano, forse è tempo di astenersi dal commentare e dal condividere notizie al di fuori delle testate giornalistiche verificate. La Procura, dal canto suo, ha pieno diritto di riaprire le indagini per fare chiarezza su cosa non funzionò nelle inchieste di diciotto anni fa, nell’interesse della verità e della giustizia. Negli ultimi mesi, oltre all’enorme attenzione mediatica, si sono moltiplicate pagine e post che – spinti da anonimi provocatori – hanno addirittura preso di mira Chiara Poggi con contenuti offensivi. Perfino la famiglia è stata costretta a intervenire, denunciando affermazioni che ledono la dignità della loro figlia. «Chiara non aveva segreti e non può difendersi», dichiararono, stanchi, i genitori. L’indignazione collettiva ha riportato in primo piano il tema dei limiti del web: quando la memoria di una vittima diventa bersaglio, la soglia tra cronaca e cybersciacallaggio è stata ampiamente superata. Questa deriva rivela un altro volto dei social: non più solo luogo di espressione e informazione, ma arena in cui anche la dignità delle vittime viene messa in discussione. La presenza di contenuti denigratori, immagini irrispettose o post che ridicolizzano Chiara Poggi e la sua tragedia segna un punto critico nel rapporto tra rete e umanità. È un fenomeno che non può più essere ignorato e che richiede una presa di coscienza collettiva: il dolore altrui deve essere rispettato, anche – e soprattutto – online. Ancora una volta, in questa ricorrenza, la famiglia Poggi ha scelto il silenzio: quello che troppe volte è stato loro strappato, ma che semplicemente era dovuto. Questa sera, nella chiesa parrocchiale di Garlasco, sarà celebrata alle 18 una messa in ricordo di Chiara.

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