Il generale Franco Bacchella racconta il suo Afghanistan

«Noi italiani abbiamo cercato come sempre di dare molto, compresi gli aiuti umanitari. Ma dal punto di vista strategico e militare era finita»

È generale dell’esercito in pensione e oggi ha 69 anni. Il mortarese Franco Bacchella (originario di Zeme e marito dell’ex segretaria del Comune di Mortara Luisa Pizzocchero) non può dimenticare le sue missioni all’estero, per tre volte in Libano, con il comando della base di Naqura e poi come addetto ai rapporti militari presso l’ambasciata e lo Stato Libanese. L’ultima sua missione oltre confine è stata però in Afghanistan, con base a Kabul, tra il 2005 e il 2006, quando l’Italia aveva il comando generale delle forze armate della Nato. In quell’anno il Corpo d’Armata  in Afghanistan era guidato dal generale italiano Mauro Del Vecchio nell’ambito dell’operazione ISAF (International Security Assistance Force). Del Vecchio, in Italia, comandava dal febbraio 2004 il Corpo d’Armata di Reazione Rapida italiano della Nato. Franco Bacchella allora colonnello appartenente all’Aviazione dell’Esercito (elicotterista) era di stanza a Solbiate Olona dove appunto aveva sede questo comando. In conseguenza fece parte dell’operazione ISAF e diresse a Kabul l’ufficio personale con una responsabilità che cadeva su tutte le forze militari Nato presenti in quel momento nell’intero panorama afgano. Il suo superiore era un generale mentre suoi sottoposti erano alcuni tenenti colonnello di diverse nazioni. «È stato il momento di maggiore partecipazione dell’Italia nella missione in Afghanistan – spiega Bacchella – Allora c’era un grosso  contingente militare con diverse concentrazioni di sicurezza. All’interno di queste cerchie si poteva anche uscire per visitare i mercati rionali. Ma eravamo all’inizio, quando ancora si pensava ad un’evoluzione diversa della situazione». La guerra afghana era nata dopo i fatti di terrorismo e l’attacco alle Torri gemelle. Iniziò il 7 ottobre 2001, con l’avvio delle ostilità e l’invasione del territorio controllato dai Talebani. «Ora sono passati 18 anni dall’inizio dell’occupazione e 15 di partecipazione italiana – prosegue Bacchella – la situazione è precipitata in conseguenza di una decisione americana che va analizzata partendo dalla loro visione politica. L’opinione pubblica, per molti versi, si pone interrogativi su quel che sta succedendo e sul perchè la situazione sia precipitata in questo modo, ma è ovvio che l’America agisce in base ad analisi strategiche e militari. Non tocca a me giudicare, ma oggi lo scenario internazionale è profondamente cambiato rispetto ad allora e la presenza di una missione militare in Afghanistan non è più, evidentemente, necessaria. Aiutavamo dal punto di vista umanitario e garantivamo una stabilità che non è mai stata in grado di essere autonoma. Quindi la decisione è arrivata. Joe Biden ne parlava da anni, ora che è alla Casa Bianca non è una novità quel che sta accadendo». Il generale Bacchella prosegue nella sua analisi. «Dal punto di vista italiano, certo, come succede sempre al nostro popolo, c’è stato un forte coinvolgimento. E non dobbiamo dimenticare che hanno perso la vita in questa missione 54 militari, più altri feriti. Noi, per indole e per comportamento siamo portati ad aiutare le popolazioni dal punto di vista umanitario, ed è un grande merito. Ma al momento di lasciare i dispiaceri ci sono, e lo strappo è forte». Secondo Bacchella, non si devono tralasciare altri due aspetti: il coinvolgimento dell’Europa e il controllo sulla produzione di oppio. «La Nato e l’Europa da sole non sono nelle condizioni di rimanere in Afghanistan. Non siamo una potenza militare.  Questo è un primo dato di fatto. Altro punto di interesse era, tra l’altro, quello di disincentivare  la produzione di oppio, che in Afghanistan è tra le prime al mondo. Contrastare questi raccolti e il relativo commercio illegale è molto importante, ma evidentemente il calcolo dell’abbandono è stato fatto tra costi e benefici». L’evacuazione italiana di Herat era già iniziata a giugno. Attualmente le nostre truppe contavano su circa 900 militari per lo più a Herat, nel “Train Advise Assist Command West” (Taac-W), operazione dedicata alle attività di addestramento, assistenza e consulenza a favore delle istituzioni e delle forze di sicurezza locali concentrate nella regione ovest. «Noi abbiamo svolto questo compito con grande dedizione – conclude il generale Franco Bacchella – addestrato le forze armate locali, ma anche cercato di offrire un motivo di rinascita alle loro istituzioni civili. Abbiamo assicurato il funzionamento dell’aeroporto internazionale di Herat, con consulenze nel settore aeronautico e nel settore dei servizi aeroportuali e della navigazione aerea. Per questo il momento di distacco è stato difficile. Quel che sembrava potesse essere un abbandono morbido si è rivelato un trauma e gli ultimi attentati hanno complicato ulteriormente la situazione». 

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